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lunedì 1 luglio 2013

Rose rosse




Percorre a passi lenti il sentiero che si snoda fra le tombe del piccolo cimitero e la sensazione che ci sia qualcosa di strano gli allerta i sensi. Si ferma, incerto -le narici frementi di un puledro che ha fiutato il pericolo- e trattiene il respiro, per cercare di captare voci o suoni, rivelatori di una qualsiasi presenza. Niente: una greve cappa di silenzio sembra discendere dalle cime dei cipressi spettrali e propagarsi in densa nebbia minacciosa, a ghermire i marmi e i monumenti funebri. L’assoluta mancanza di rumore è talmente irreale, che un brivido d’inquietudine gli serpeggia nel collo e lungo la schiena, facendogli drizzare i capelli e accapponare la pelle. Non ode nulla, eppure percepisce qualcosa: sente che sta per accadere… non sa cosa, ma il terrore lo inchioda, come se i piedi fossero fusi in blocchi di cemento.

Rotea gli occhi nelle orbite, si costringe a girarli verso la tomba murata di fresco. Un dolore lancinante gli sferza il cervello; si guarda la mano: gronda sangue da profonde scalfitture causate dalle spine conficcate nel palmo, che stringe con forza il mazzo di rose. Sua moglie -che sia dannata!- detestava le rose, e proprio rose ha deciso di portarle, ogni giorno, al cimitero. Vuole soffocarla di rose, quella tomba: rosse come la rabbia impotente che l’ha divorato per i dieci anni di tortura del suo matrimonio; spinose come l’odio che gli ha dilaniato l’anima; laceranti come la sete di vendetta, che nemmeno l’essersi liberato dell’arpia, riesce a placare; rutilanti come le fiamme dell’inferno, tra le quali le augura di bruciare in eterno! 




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