Percorre a passi lenti il sentiero che si snoda fra le
tombe del piccolo cimitero e la sensazione che ci sia qualcosa di strano gli
allerta i sensi. Si ferma, incerto -le narici frementi di un puledro che ha
fiutato il pericolo- e trattiene il respiro, per cercare di captare voci o suoni,
rivelatori di una qualsiasi presenza. Niente: una greve cappa di silenzio
sembra discendere dalle cime dei cipressi spettrali e propagarsi in densa
nebbia minacciosa, a ghermire i marmi e i monumenti funebri. L’assoluta
mancanza di rumore è talmente irreale, che un brivido d’inquietudine gli
serpeggia nel collo e lungo la schiena, facendogli drizzare i capelli e
accapponare la pelle. Non ode nulla, eppure percepisce qualcosa: sente che sta
per accadere… non sa cosa, ma il terrore lo inchioda, come se i piedi fossero
fusi in blocchi di cemento.
Rotea
gli occhi nelle orbite, si costringe a girarli verso la tomba murata di fresco.
Un dolore lancinante gli sferza il cervello; si guarda la mano: gronda sangue
da profonde scalfitture causate dalle spine conficcate nel palmo, che stringe con
forza il mazzo di rose. Sua moglie -che sia dannata!- detestava le rose, e
proprio rose ha deciso di portarle, ogni giorno, al cimitero. Vuole soffocarla
di rose, quella tomba: rosse come la rabbia impotente che l’ha divorato per i
dieci anni di tortura del suo matrimonio; spinose come l’odio che gli ha dilaniato
l’anima; laceranti come la sete di vendetta, che nemmeno l’essersi liberato
dell’arpia, riesce a placare; rutilanti come le fiamme dell’inferno, tra le
quali le augura di bruciare in eterno!
Coming soon...