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domenica 10 giugno 2018

A un passo dalla felicità





   Ho commesso il peggiore peccato che si possa commettere.
Non sono stato felice.
Jorge Luis Borge


La fretta è la costante della tua vita. Vivi di corsa, a ritmo frenetico, per non perdere nulla o quasi. Ordine, organizzazione e autodisciplina sono gli imperativi che ti sei imposta per utilizzare il tempo nella maniera più proficua possibile e con un tollerabile dispendio di energie. Sei ore di sonno per notte: non ti serve altro, e quelle prodigiose pillolette prescritte dallo strizzacervelli ti permettono di sfruttarle al massimo, senza la zavorra dei sogni.
Questo gli avevi chiesto: di farti dormire, e lui si è meritato la parcella. Niente più sogni, niente incubi a turbare il riposo notturno, e di giorno non hai tempo da sprecare con i ricordi. Guardi avanti, sempre, non indugi a recriminare su ciò che lasci alle spalle; non hai tempo per rimorsi e rimpianti, grazie al Cielo!
No, è soltanto merito tuo, il Cielo non c’entra: l’hai bandito insieme alle speranze della gioventù, così come hai sepolto lo spauracchio dell’inferno sotto il tumulo dell’agnosticismo. Con la mente sgombra dalla superstizione e dai fantasmi, puoi pensare esclusivamente a te stessa. La vita, si sa, è una sola, e la tua vuoi viverla alla grande.

Stamani però la sveglia ti ha tradito; la regoli un’ora prima per espletare i piccoli riti maniacali che ti sono indispensabili per iniziare la giornata. Stamani, invece, la maledetta non ha suonato. Sei sicura che non abbia suonato. Ti svegli sempre al primo trillo, allunghi la mano per spegnerla e metti i piedi fuori dal letto, senza rimanere nemmeno un secondo di troppo a crogiolarti tra le lenzuola. Non ha suonato, lo giureresti su quello che hai di più caro, se avessi qualcosa che ti è caro. Quando hai spalancato gli occhi sulle lancette fosforescenti e ti sei resa conto che erano già le otto, una sferzata di adrenalina ti ha fatto scattare come una molla. Hai afferrato la trappola infernale e l’hai scagliata imprecando contro la parete. Non aveva suonato la maledetta, e non avrebbe suonato mai più.
Era tardi, dannatamente tardi. Niente doccia, niente quarto d’ora di rilassamento yoga, niente scorsa veloce ai notiziari web e alle quotazioni di borsa, niente colazione. Solo il tempo di vestirti in fretta e buttare giù un caffè con le tue pillole. Benzodiazepine per dormire sei ore e anfetamine per ruggire come una leonessa nelle altre diciotto: non ti serve altro. A quel medico dovresti erigere un monumento.
– Non ne abusi, – ti ha raccomandato - non superi i limiti prescritti. - e tu l’hai guardato con commiserazione, sforzandoti di non scoppiargli a ridere in faccia.
È da quando hai l’età della ragione che consideri i limiti come una sfida con te stessa e con il mondo. Non ci sono limiti che tu non possa superare, né ostacoli che non sia in grado di aggirare; non hai bisogno di stupidi consigli: sai gestirti benissimo da sola. Le pillole ti aiutano, ma puoi farne a meno in qualsiasi momento.
Non stamani, però: stamani quella maledetta sveglia non ha suonato e hai dormito troppo. Un’ora in più, un’ora del tuo preziosissimo tempo del quale adesso ti senti defraudata. I brontolii dello stomaco ti ricordano che non hai fatto colazione, e i muscoli delle spalle e delle braccia, ancora indolenziti, ti fanno rimpiangere la doccia calda che non ti sei potuta concedere. Ma era tardi, maledettamente tardi: questo ti diceva il cervello ancora istupidito dal brusco risveglio.
Hai preso un paio di pillole in più, dovevi farlo; che sarà mai, per una volta? Stamani sei pungolata dalla fretta; al diavolo le avvertenze e le controindicazioni dei bugiardini! Devi sciropparti venti chilometri di macchina, che sarebbero un’inezia se non fossero venti chilometri di tornanti scoscesi lungo la scogliera, a strapiombo sul mare.
Quando sei andata a vivere in collina, nel rustico ereditato da una lontana parente che nemmeno conoscevi, hai pensato di avere risolto gran parte dei tuoi problemi. Di giorno, per cinque giorni alla settimana, sei costretta a scendere in paese e rinchiuderti in un ufficio ammuffito; devi sopportare la gente: i paesani che conosci e detesti e i turisti occasionali che detesti ancora di più. Otto ore al giorno fra le scartoffie, ad ascoltare richieste assurde e subire lamentele di ogni genere, digrignando i denti in sorrisi forzati mentre avresti voglia di mandarli tutti al diavolo. Una tortura che riesci a tollerare solo grazie al pensiero della tua casetta isolata e silenziosa.
Non ti pesano quei venti chilometri: ti svegli sempre un’ora prima e fai tutto con calma. Ordine, organizzazione e autodisciplina; ma stamani non hai sentito la sveglia e il meccanismo perfetto si è incrinato.
Niente d'irrimediabile: un paio di pillole per svegliarti e acceleratore a tavoletta. Conosci a memoria ognuno di quei tornanti, li hai percorsi centinaia di volte, in tutte le stagioni e nelle peggiori condizioni di visibilità. Potresti guidare a occhi chiusi, sicura di non sbagliare una curva.
Allunghi la mano per cercare, nel vano porta oggetti, uno dei tuoi cd di musica classica; ascoltare a tutto volume il “Dies irae” di Karl Jenkins mentre guidi, è quello che ci vuole per rilassarti. Ti distrai appena un attimo per inserire il disco nel lettore e scorgi solo all'ultimo momento l'animale, forse una volpe, che attraversa la strada.
Sterzi e freni bruscamente: due manovre che non è mai opportuno abbinare. Senti le ruote che pattinano, vedi avvicinarsi lo strapiombo, capisci che tra poco farai un bel salto nel vuoto.
Eppure non hai paura, non vedi la tua vita passarti davanti agli occhi in un istante, non senti l'irrazionale bisogno di raccomandarti l'anima. Sai che non può finire così, non prima di avere assaporato la felicità che ti spetta di diritto. Hai fatto di tutto per conquistarla e ora te la meriti; non morirai per una stupida volpe che ti attraversa la strada, in un'anonima giornata che hai più fretta del solito.
Non ti lasci prendere dal panico, azzardi un'altra manovra con il sangue freddo di un pilota di formula uno. Affondi la frizione, scali la marcia e dai una sterzata secca per puntare verso l'intrico di cespugli e arbusti che delimita il burrone. Non hai idea se servirà a qualcosa, ma ormai non hai nulla da perdere. Anzi, hai da perdere la cosa più importante, la vita, ma non ci sono alternative. Ti convinci che funzionerà, deve funzionare.
Ti aggrappi al volante con entrambe le mani ma non chiudi gli occhi: vuoi vedere tutto, fino alla fine, se questa sarà la fine. L'impatto non è violento come ti saresti aspettata: non fa nemmeno esplodere gli airbag. La vettura adesso è ferma: la barriera vegetale è riuscita a frenarne la corsa.
Spegni il motore e trattieni il respiro per captare un cedimento, uno scricchiolio di rami che si spezzano, preludendo a una rovinosa caduta. Niente, solo il cigolio di uno pneumatico che gira a vuoto e la musica a tutto volume:
“Dies irae! Dies illa solvet saeclum in favilla...”
Scoppi a ridere: il giorno dell'ira, il giorno che il mondo si dissolverà in cenere, per te non è ancora arrivato. Sei stata fortunata. No, sei stata brava e hai saputo mantenere la padronanza dei nervi e fare la cosa giusta.
Sai sempre quale sia la cosa giusta e hai sempre fatto le scelte giuste nella vita, senza soffermarti a pensare a quello che dovevi sacrificare in cambio. Tutto è sacrificabile, quando la posta in palio è la felicità, e il primo passo per conquistare la felicità è sempre stato mantenerti libera da ogni vincolo, unico arbitro delle tue decisioni, senza impedimenti o costrizioni di sorta.
Hai pagato un prezzo alto, la solitudine e il biasimo dei benpensanti, ma te ne freghi. Stai bene da sola, stai bene con te stessa, sei felice. Quasi felice... a un passo dalla felicità. Non può andare tutto a rotoli per un banale incidente.
Scacci quel subdolo presentimento; pigi con stizza il tasto dell'off sul lettore musicale per interrompere il coro che annuncia il giorno del Giudizio e sganci la cintura di sicurezza. Devi uscire dall'abitacolo, prima che diventi la tua bara.
Respiri a fondo e cerchi di analizzare la situazione; l'auto è inclinata su un fianco, dal lato del passeggero, ed è trattenuta dai cespugli. Non sai quanto a lungo resisteranno quei rami, devi muoverti con estrema cautela. Provi ad aprire la portiera alla tua sinistra, esulti nel constatare che non incontri resistenza. Adesso devi spalancarla e saltare fuori. È rischioso, però è anche l'unica cosa da fare. Non indugi a riflettere, spingi con una spallata e ti butti di sotto.
L'impatto con il terreno ti procura fitte acute in tutto il corpo, ma il sollievo è più forte del dolore. Ti rialzi e realizzi di non esserti fatta nulla, salvo qualche escoriazione alle braccia e alle ginocchia. È andata perfino troppo bene, quasi non ci credi.
Pensi che dovresti recuperare la borsa e la cartella dei documenti che hai appoggiato come sempre sul sedile posteriore; una rapida occhiata alla macchina, in equilibrio precario sullo strapiombo, ti fa desistere dal proposito di avvicinarti. Non è il caso di sfidare la sorte una seconda volta, anche se quelle carte sono importanti contratti che devi perfezionare in giornata.
Se almeno potessi avvertire in ufficio che hai avuto un incidente... Ma no, hai lasciato il cellulare nella borsetta insieme ai soldi e agli effetti personali. Di solito lo riponi nel cruscotto e lo colleghi al viva voce, ma stamani eri in ritardo. Dannata fretta!
Non hai alternative: devi incamminarti a piedi sperando d'incontrare qualcuno e, in caso contrario, sciropparti la decina di chilometri che ancora mancano per arrivare in paese. Ecco, adesso avresti bisogno di un'altra pillola, ma naturalmente il flacone è rimasto in macchina. Non devi perdere la calma. Sei appena scampata a un pericolo mortale, non puoi infuriarti per un telefonino e una manciata di psicofarmaci.
Inspiri a fondo e trattieni l'aria nei polmoni per qualche istante, poi la soffi fuori con lentezza. Ripeti l'esercizio di respirazione, finché ti senti di nuovo rilassata.
Ignori gli abiti strappati e le calze rotte; riesci perfino a sorridere del sangue che sta cominciando a rapprendersi sulle ginocchia, mischiato alla polvere, e che non puoi tamponare perché non hai nemmeno un fazzolettino. T'inquieti un po' quando ti accorgi di esserti spezzata un tacco.
Tua madre sostiene che non c'è disgrazia senza sciagura. Hai sempre considerato demenziale quella frase, come la maggior parte delle massime e degli aforismi che ti propina la genitrice, ma adesso capisci che racchiude una profonda verità: nella disgrazia che ti è capitata, avere anche un tacco rotto rappresenta una vera sciagura.
Il pensiero di tua madre è una spina fastidiosa, e non capisci perché, dannazione, doveva ficcarsi nella testa proprio in questo momento. Non potevi tenerla a casa con te, dopo l'aggravarsi della malattia degenerativa che l'ha ridotta alla stregua di un vegetale. Da quanto tempo non vai a trovarla in clinica? Qualche mese, forse un anno... non ricordi.
Lavori tutta la settimana e nel week end hai il diritto di pensare a te stessa. Paghi fior di quattrini per non farle mancare nulla; dedicarle anche il poco tempo libero che ti rimane, sarebbe un sacrificio inutile e non farebbe alcuna differenza: lei ormai non ti riconosce nemmeno.
Non devi sentirti in colpa. Non vuoi sentirti in colpa. Non ti senti in colpa. I sensi di colpa sono una palude viscosa nella quale non ti sei mai lasciata impantanare. Sono superflui e non appartengono alla tua visione edonistica della vita.
È così breve la vita, ed è insensato credere o anche solo sperare in qualcosa che trascenda i limiti umani. Non siamo fatti della materia dei sogni, ma di carne e sangue; i pensieri e le emozioni sono frutto di connessioni neurologiche e secrezioni ghiandolari, non di una sorta d'infusione divina.
Sei al mondo per una mera causalità di geni e devi sfruttare ogni istante cercando la tua soddisfazione personale, perché il mondo, per te, finirà nell'attimo stesso in cui cesserai di respirare. Non ci sarà un giorno del Giudizio, non c'è alcun premio o castigo. L'inferno e il paradiso sono la vita stessa; dipende soltanto da te rifuggire l'uno e guadagnarti l'altro.
Sei così vicina a ottenere quello che desideri, per cui hai lavorato tanto e hai rinunciato a molte cose... Devi solo arrivare in ufficio, ristampare quei contratti e strappare la firma del cliente.
Te lo sei lavorato bene il fesso, hai usato ogni mezzo a tua disposizione, compreso il tuo corpo. È cotto a puntino, firmerebbe anche la propria condanna a morte pur di strusciarti ancora le sue viscide mani addosso. Quando si renderà conto di avere perso tutto sarà troppo tardi, ma non potrà intentare alcuna azione legale: quelle firme, apposte spontaneamente, lo inchioderanno alle sue responsabilità.
Peggio per lui: nel mondo dell'alta finanza non c'è posto per gli stupidi e nemmeno per i rimorsi. Otterrai una ricca provvigione e la promozione che aspetti da tempo; forse, addirittura, la direzione di una filiale importante. Sarà la svolta decisiva, niente potrà più fermarti. Devi solo raggiungere il paese prima che la banca chiuda o che quell'idiota si faccia venire qualche dubbio.
Hai già perso fin troppo tempo e non puoi permetterti di aspettare che passi qualcuno. Sfili le scarpe ormai inservibili e muovi qualche passo, stringendo i denti per il dolore alle articolazioni e il fastidio che le asperità dello sterrato ti procurano alle piante dei piedi. Non devi pensarci, tra un paio di chilometri troverai la strada asfaltata e le prime case del paese. Ricordi che c'è anche una locanda, poco più a valle; ti daranno una mano, magari un passaggio. Non hai molti amici, anzi, non ne hai nemmeno uno, ma la promessa di una lauta ricompensa ottiene qualsiasi favore.
Procedi spedita, rinfrancata dalla consapevolezza che l'increscioso contrattempo non intralcerà i tuoi piani; mentre cammini, riepiloghi mentalmente le mosse future. Otterrai le firme e sbatterai i contratti sul muso del direttore; avrai la tua rivincita per tutte le volte che quell’idiota ti ha messo i bastoni tra le ruote. Per paura, lo sai bene, per timore che lo scalzassi. Chiedere la sua testa sarà la prima cosa che farai; te la concederanno su un piatto d'argento, ti concederanno qualsiasi cosa.
Soldi, prestigio, potere... la felicità non è mai stata così vicina.
Dovresti esultare, invece ti accorgi che stai tremando. Tremi di freddo. Si è alzato un vento gelido e il cielo è gravato da nubi temporalesche; la visibilità è ridotta al minimo: sembra quasi notte, una brumosa e fredda notte invernale, rischiarata soltanto dai fulmini.
Com'è possibile? Un attimo fa splendeva il sole. Stamani non hai fatto in tempo a consultare le previsioni meteorologiche, ma è abbastanza strano un cambiamento così repentino in questa stagione. Ci manca solo che cominci a diluviare! Non riesci a vedere nulla, nemmeno dove metti i piedi. Hai perso l'orientamento e da qualche parte c'è lo strapiombo.
Calma, devi restare calma. Ti fermi e aspetti; ascolti il brontolio dei tuoni e il battito frenetico del tuo cuore. Un lampo accecante illumina la sagoma quasi spettrale di un edificio a poche decine di metri. La locanda, finalmente! Sapevi che non poteva essere lontana.
Corri nel buio, vai quasi a sbattere contro un muro; tasti con le mani finché incontri il legno del portone. Bussi con i pugni, chiami a gran voce, urli. Nessuna risposta, nessuna luce che si accende. Non c'è nessuno.
Non può esserci nessuno, adesso ricordi: la locanda è chiusa. Chiusa per fallimento. Ricordi anche la faccia congestionata del gestore, la sua voce incrinata dal pianto quando gli hai negato il prestito che gli avrebbe consentito di risollevarsi.
T'implorava, e tu pensavi che fosse un individuo senza dignità. Non potevi dargli quei soldi: la banca non è un ente benefico, negli affari non c'è posto per la compassione.
Rivedi gli occhi fiammeggianti di disprezzo, risenti la voce che ti maledice. In molti ti hanno maledetto: tutti quelli che hai rovinato con i tuoi “no” e quelli che hai ridotto sul lastrico, appioppandogli titoli e azioni ad alto rischio.
Al diavolo! Hai fatto solo gli interessi della banca, e naturalmente i tuoi; non provi rimorso. È il tuo lavoro, lo svolgi meglio di chiunque altro e presto otterrai i riconoscimenti che meriti.
I temporali estivi hanno breve durata; devi aspettare che passi e raggiungere il paese. Sei sfinita, muori dal freddo; ti accasci sullo scalino, abbracci le gambe e posi la testa sulle ginocchia. Presto sarà tutto finito, devi stare calma e recuperare le forze.
Un soffio nel collo ti fa sussultare. Non è il vento, è come un respiro, un leggero ansimare. C'è qualcuno accanto a te, forse un animale...
Adesso tremi di terrore, non hai il coraggio di aprire gli occhi, non osi quasi respirare.
– Ciao, Anna...
Un'emozione violenta ti fa balzare il cuore in gola; lo spavento ti paralizza. Quella voce, la sua voce...
– Allora, sei riuscita a trovare la felicità?
Marco! No, non è possibile, non può essere Marco. Marco è...
– Tu sei morto... – ansimi.
È morto, lo sai, è morto tanti anni fa. Sfracellato proprio in fondo a quel burrone. Un tragico incidente, anche se qualcuno ha cercato di addossartene la colpa. Le malelingue del paese dicevano che si era buttato per colpa tua, perché l'avevi lasciato dopo esserti liberata del bambino che aspettavate.
Che idiozia! Nessuno, sano di mente, si ucciderebbe per questo, e tu non potevi rinunciare alla tua vita per uno stupido errore. Forse lo amavi, forse stavi bene con lui, ma un figlio no, non lo volevi. Non così presto, non prima di avere realizzato i tuoi progetti. Saresti stata infelice per tutta la vita.
Hai fatto la scelta giusta, come sempre. Nessuno può biasimarti.
– Sei morto... – ripeti – vattene, lasciami in pace...
Una risata lugubre fa da eco alle tue parole. È troppo, più di quanto tu possa sopportare. Chiudi gli occhi e sprofondi nell'incoscienza...
La musica infernale ti riscuote:
“Dies irae! Dies illa solvet saeclum in favilla...”
Impieghi qualche istante per renderti conto che sei ancora nell'abitacolo, incastrata tra il sedile e l'airbag, imprigionata dalla cintura di sicurezza. Forse hai avuto un incubo mentre eri svenuta, o forse è vero che, quando si sta per morire, la vita intera ci passa davanti agli occhi.
Provi a liberarti senza riuscirci; il movimento incauto fa oscillare la vettura. Senti un fragore di rami schiantati, la macchina si capovolge, stai precipitando.
Adesso sai che oggi è davvero il giorno dell'ira.
Non provi nemmeno paura, non ne hai il tempo. Hai un solo rammarico: eri a un passo dalla felicità e non sei riuscita ad afferrarla.

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