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domenica 30 novembre 2014

Scirocco






Barcollo nel vento, esule senza meta.

Raffiche bizzose scompigliano i capelli,

sferzano la schiena, ottundono i sensi.

Mi piego, cado, mi rialzo e vado avanti

senza sapere dove, senza voltarmi indietro,

fuscello nel vortice, microbo dell’universo.

Non è lo scirocco a imbizzarrire la mente,

non la sabbia a screpolare la coscienza,

non l’arsura a essiccare l’anima.

E queste lacrime frenate dall’orgoglio

non sono il rigurgito del cielo,

ma il sale liquefatto dei rimorsi

che spargo a piene mani

sulle rovine sterili della vita.



martedì 4 novembre 2014

L'ultimo Halloween







- Nonno, quando eri bambino tu, cosa facevi la sera di Halloween?
Guardi il tuo nipotino, sette anni, infagottato nel costume da folletto già appartenuto al fratello maggiore, troppo grande per lui e scolorito dall’usura.
Gli occhi chiari, così simili a quelli di Olga, brillano d’eccitazione. Gli amichetti che devono passare a prenderlo per il rituale giro del “dolcetto o scherzetto” sono in ritardo, e i piedini scalpitano nell’impazienza dell’attesa, dentro le sneakers che fanno a pugni con il resto dell’abbigliamento.
Tremi per l’ondata di tenerezza che ti travolge.
- Ai miei tempi, Halloween non esisteva, Giulio.
- Non esisteva? – sgrana gli occhi, incredulo. – Sei sicuro? Forse non ricordi bene…
Il nonno è svanito, dimentica le cose. Non stare sempre appiccicato al nonno: è vecchio, e non è bene che i bambini passino troppo tempo in compagnia dei vecchi.
Quante volte tua nuora ha pronunciato quelle e altre frasi simili, credendo che non la sentissi? Già, perché il nonno è anche sordo e rincoglionito.
Non raccontare storie paurose ai bambini, babbo.
Ingoi fiele quando ti chiama babbo: non è tua figlia e ti disprezza, ti sopporta solo per i soldi della pensione che le metti in mano ogni mese.
Gli fai venire gli incubi con i tuoi racconti.
Invece, i cartoni animati che guardano dalla mattina alla sera, pieni di violenza e volgarità, sono educativi, vorresti replicare, ma sai che sarebbero parole al vento.
Ai tuoi tempi non c’era la televisione e non esistevano nemmeno le “americanate” come Halloween. Gli americani erano quei soldati entrati in paese con le jeep durante la lontana primavera della liberazione; parlavano una lingua sconosciuta, ridevano sempre e ti regalavano una barretta di cioccolato delle loro razioni. Non l’avevi mai visto il cioccolato, e ti sembrava la cosa più buona del mondo; lo custodivi gelosamente sotto il materasso di crine e ne sgranocchiavi un pezzetto alla volta, la sera quando ti coricavi al buio, facendolo sciogliere sotto la lingua piano piano perché durasse il più a lungo possibile.
- Forse hai ragione, Giulio: sono io che non me lo ricordo – convieni, mentre sorridi al piccolo e gli passi una carezza sul visetto imbrattato di trucco.
- Non preoccuparti, nonno, ti voglio bene lo stesso – si solleva sulla punta dei piedi per schioccarti un bacio sulla guancia. – Ecco, prendi questo, – ti mette in mano un cornetto rosso di plastica – è un potente amu… amul… insomma, una cosa che tiene lontano il male. Stanotte le streghe e gli spiriti non verranno a prenderti. Poi, io torno presto e ti proteggo fino a domattina – afferma, convinto.
Sorridi con le ciglia inumidite dalle lacrime. Da quanto tempo non temi le streghe e gli spiriti? Sono altre le cose che ti fanno paura: la vecchiaia, la malattia, la morte. L’indifferenza di tuo figlio, la meschinità di sua moglie. E ben altri spettri funestano le tue notti insonni: i rimpianti e i rimorsi per tutte le cose che avresti voluto fare e non hai fatto, e per quelle che hai fatto e non avresti dovuto fare. E i ricordi incombono grevi come macigni, a schiacciarti l’anima.
- Forse verrà la nonna a farti compagnia, mentre io non ci sono…
Lo fissi allibito. Come fa a ricordarsi della nonna? Aveva appena un anno quando è morta, proprio la notte di Ognissanti. In casa non ne parla mai nessuno e tua nuora ha fatto sparire tutto: vestiti, fotografie, i centrini di pizzo e i soprammobili di maiolica che le erano tanto cari.
Non puoi restare da solo, babbo; questa casa è troppo grande per una persona anziana e malata, e noi paghiamo l’affitto per quel buco d’appartamento dove ci rigiriamo a mala pena. Veniamo ad abitare qui, è la soluzione più ragionevole per tutti.
Non hai avuto il coraggio di opporti, di difendere la tua libertà e i tuoi ricordi. Saresti stato un vecchio egoista, e perfino Olga, la compagna di una vita, ti avrebbe rivolto parole di biasimo.
Olga… domani andrai al cimitero e le porterai delle violette. Potrai guardare i suoi occhi che ti sorridono dall’immagine sulla lapide, una foto restaurata e colorata di quando era nel fiore degli anni e della bellezza. È stato il suo ultimo desiderio, l’unico che tu potessi ancora esaudire: rimanere giovane e bella nella memoria dei suoi cari. Sì, andrai al cimitero anche se sarà freddo, anche se dovrai farti la strada a piedi, stringendo i denti a ogni passo per il dolore alle anche sbriciolate dall’osteoporosi. Ci andrai da solo perché nessuno si offrirà di accompagnarti. Nemmeno nel giorno in cui si commemorano i defunti, nemmeno nell’anniversario della sua morte.
Non sono cattivi, ti direbbe lei, hanno sempre tanto da fare: il lavoro, i bambini, la casa e un vecchio da accudire. È giusto che si riposino almeno nei giorni di festa.     
Hai smesso d’interrogarti su cosa sia giusto, hai smesso di giudicare, hai smesso di vivere da quando lei ti ha lasciato. Se non fosse per Giulio, l’unica creatura al mondo che ti dimostri un affetto sincero…
Una scampanellata ti strappa alle tue riflessioni. Gli occhi del bambino, gli stessi occhi di Olga, s’illuminano di gioia.
- Eccoli, sono arrivati! – esclama precipitandosi alla porta.
Prima di aprire, si volta a guardarti.
- Nonno, tu mi aspetti, vero? – implora con la vocetta incrinata dalla preoccupazione.
- Certo, amore mio. Forse mi addormenterò sulla poltrona; svegliami quando ritorni.
- E mi racconti le storie delle paure, di quando eri piccolo e vivevi in campagna?
- Sai che la mamma non vuole…
- Ma noi non glielo diciamo, – ti strizza un occhio – è il nostro segreto – e schizza fuori, unendosi al gruppetto dei piccoli mostri festanti.
Appoggi la nuca allo schienale, chiudi gli occhi e ti lasci pervadere dal torpore. Non sai quanto tempo sia passato, il tocco di una mano ti riscuote.
- Sei già di ritorno? Quanti dolcetti ti hanno regalato?
Silenzio, e quel profumo di violette che ti accarezza le narici. Il suo profumo. Non hai bisogno di svegliarti: sai che lei è lì. È venuta a prenderti.
Perdonami, Giulio, pensi, stavolta non posso aspettarti. Non piangere, piccolo: il nonno adesso è felice.