Ho commesso il peggiore
peccato che si possa commettere.
Non sono stato felice.
Jorge
Luis Borge
La
fretta è la costante della tua vita. Vivi di corsa, a ritmo
frenetico, per non perdere nulla o quasi. Ordine, organizzazione e
autodisciplina sono gli imperativi che ti sei imposta per utilizzare
il tempo nella maniera più proficua possibile e con un tollerabile
dispendio di energie. Sei ore di sonno per notte: non ti serve altro,
e quelle prodigiose pillolette prescritte dallo strizzacervelli ti
permettono di sfruttarle al massimo, senza la zavorra dei sogni.
Questo gli avevi
chiesto: di farti dormire, e lui si è meritato la parcella. Niente
più sogni, niente incubi a turbare il riposo notturno, e di giorno
non hai tempo da sprecare con i ricordi. Guardi avanti, sempre, non
indugi a recriminare su ciò che lasci alle spalle; non hai tempo per
rimorsi e rimpianti, grazie al Cielo!
No,
è soltanto merito tuo, il Cielo non c’entra: l’hai bandito
insieme alle speranze della gioventù, così come hai sepolto lo
spauracchio dell’inferno sotto il tumulo dell’agnosticismo. Con
la mente sgombra dalla superstizione e dai fantasmi, puoi pensare
esclusivamente a te stessa. La vita, si sa, è una sola, e la tua
vuoi viverla alla grande.
Stamani
però la sveglia ti ha tradito; la regoli un’ora prima per
espletare i piccoli riti maniacali che ti sono indispensabili per
iniziare la giornata. Stamani, invece, la maledetta non ha suonato.
Sei sicura che non abbia suonato. Ti svegli sempre al primo trillo,
allunghi la mano per spegnerla e metti i piedi fuori dal letto, senza
rimanere nemmeno un secondo di troppo a crogiolarti tra le lenzuola. Non ha suonato, lo
giureresti su quello che hai di più caro, se avessi qualcosa che ti
è caro. Quando hai spalancato gli occhi sulle lancette fosforescenti
e ti sei resa conto che erano già le otto, una sferzata di
adrenalina ti ha fatto scattare come una molla. Hai afferrato la
trappola infernale e l’hai scagliata imprecando contro la parete.
Non aveva suonato la maledetta, e non avrebbe suonato mai più.
Era
tardi, dannatamente tardi. Niente doccia, niente quarto d’ora di
rilassamento yoga, niente scorsa veloce ai notiziari web e alle
quotazioni di borsa, niente colazione. Solo il tempo di vestirti in
fretta e buttare giù un caffè con le tue pillole. Benzodiazepine
per dormire sei ore e anfetamine per ruggire come una leonessa nelle
altre diciotto: non ti serve altro. A quel medico dovresti erigere un
monumento.
– Non
ne abusi, – ti ha raccomandato - non superi i limiti prescritti. -
e tu l’hai guardato con commiserazione, sforzandoti di non
scoppiargli a ridere in faccia.
È da quando hai l’età
della ragione che consideri i limiti come una sfida con te stessa e
con il mondo. Non ci sono limiti che tu non possa superare, né
ostacoli che non sia in grado di aggirare; non hai bisogno di stupidi
consigli: sai gestirti benissimo da sola. Le pillole ti aiutano, ma
puoi farne a meno in qualsiasi momento.
Non
stamani, però: stamani quella maledetta sveglia non ha suonato e hai
dormito troppo. Un’ora in più, un’ora del tuo preziosissimo
tempo del quale adesso ti senti defraudata. I brontolii dello stomaco
ti ricordano che non hai fatto colazione, e i muscoli delle spalle e
delle braccia, ancora indolenziti, ti fanno rimpiangere la doccia
calda che non ti sei potuta concedere. Ma era tardi, maledettamente
tardi: questo ti diceva il cervello ancora istupidito dal brusco
risveglio.
Hai
preso un paio di pillole in più, dovevi farlo; che sarà mai, per
una volta? Stamani sei pungolata dalla fretta; al diavolo le
avvertenze e le controindicazioni dei bugiardini! Devi sciropparti
venti chilometri di macchina, che sarebbero un’inezia se non
fossero venti chilometri di tornanti scoscesi lungo la scogliera, a
strapiombo sul mare.
Quando
sei andata a vivere in collina, nel rustico ereditato da una lontana
parente che nemmeno conoscevi, hai pensato di avere risolto gran
parte dei tuoi problemi. Di giorno, per cinque giorni alla settimana,
sei costretta a scendere in paese e rinchiuderti in un ufficio
ammuffito; devi sopportare la gente: i paesani che conosci e detesti
e i turisti occasionali che detesti ancora di più. Otto ore al
giorno fra le scartoffie, ad ascoltare richieste assurde e subire
lamentele di ogni genere, digrignando i denti in sorrisi forzati
mentre avresti voglia di mandarli tutti al diavolo. Una tortura che
riesci a tollerare solo grazie al pensiero della tua casetta isolata
e silenziosa.
Non
ti pesano quei venti chilometri: ti svegli sempre un’ora prima e
fai tutto con calma. Ordine, organizzazione e autodisciplina; ma
stamani non hai sentito la sveglia e il meccanismo perfetto si è
incrinato.
Niente
d'irrimediabile: un paio di pillole per svegliarti e acceleratore a
tavoletta. Conosci a memoria ognuno di quei tornanti, li hai percorsi
centinaia di volte, in tutte le stagioni e nelle peggiori condizioni
di visibilità. Potresti guidare a occhi chiusi, sicura di non
sbagliare una curva.
Allunghi
la mano per cercare, nel vano porta oggetti, uno dei tuoi cd di
musica classica; ascoltare a tutto volume il “Dies irae” di Karl
Jenkins mentre guidi, è quello che ci vuole per rilassarti. Ti
distrai appena un attimo per inserire il disco nel lettore e scorgi
solo all'ultimo momento l'animale, forse una volpe, che attraversa la
strada.
Sterzi e freni
bruscamente: due manovre che non è mai opportuno abbinare. Senti le
ruote che pattinano, vedi avvicinarsi lo strapiombo, capisci che tra
poco farai un bel salto nel vuoto.
Eppure non hai paura,
non vedi la tua vita passarti davanti agli occhi in un istante, non
senti l'irrazionale bisogno di raccomandarti l'anima. Sai che non può
finire così, non prima di avere assaporato la felicità che ti
spetta di diritto. Hai fatto di tutto per conquistarla e ora te la
meriti; non morirai per una stupida volpe che ti attraversa la
strada, in un'anonima giornata che hai più fretta del solito.
Non ti lasci prendere
dal panico, azzardi un'altra manovra con il sangue freddo di un
pilota di formula uno. Affondi la frizione, scali la marcia e dai una
sterzata secca per puntare verso l'intrico di cespugli e arbusti che
delimita il burrone. Non hai idea se servirà a qualcosa, ma ormai
non hai nulla da perdere. Anzi, hai da perdere la cosa più
importante, la vita, ma non ci sono alternative. Ti convinci che
funzionerà, deve funzionare.
Ti
aggrappi al volante con entrambe le mani ma non chiudi gli occhi:
vuoi vedere tutto, fino alla fine, se questa sarà la fine. L'impatto
non è violento come ti saresti aspettata: non fa nemmeno esplodere
gli airbag. La vettura adesso è ferma: la barriera vegetale è
riuscita a frenarne la corsa.
Spegni
il motore e trattieni il respiro per captare un cedimento, uno
scricchiolio di rami che si spezzano, preludendo a una rovinosa
caduta. Niente, solo il cigolio di uno pneumatico che gira a vuoto e
la musica a tutto volume:
“Dies irae! Dies illa
solvet saeclum in favilla...”
Scoppi
a ridere: il giorno dell'ira, il giorno che il mondo si dissolverà
in cenere, per te non è ancora arrivato. Sei stata fortunata. No,
sei stata brava e hai saputo mantenere la padronanza dei nervi e fare
la cosa giusta.
Sai
sempre quale sia la cosa giusta e hai sempre fatto le scelte giuste
nella vita, senza soffermarti a pensare a quello che dovevi
sacrificare in cambio. Tutto è sacrificabile, quando la posta in
palio è la felicità, e il primo passo per conquistare la felicità
è sempre stato mantenerti libera da ogni vincolo, unico arbitro
delle tue decisioni, senza impedimenti o costrizioni di sorta.
Hai pagato un prezzo
alto, la solitudine e il biasimo dei benpensanti, ma te ne freghi.
Stai bene da sola, stai bene con te stessa, sei felice. Quasi
felice... a un passo dalla felicità. Non può andare tutto a rotoli
per un banale incidente.
Scacci
quel subdolo presentimento; pigi con stizza il tasto dell'off sul
lettore musicale per interrompere il coro che annuncia il giorno del
Giudizio e sganci la cintura di sicurezza. Devi uscire
dall'abitacolo, prima che diventi la tua bara.
Respiri
a fondo e cerchi di analizzare la situazione; l'auto è inclinata su
un fianco, dal lato del passeggero, ed è trattenuta dai cespugli.
Non sai quanto a lungo resisteranno quei rami, devi muoverti con
estrema cautela. Provi ad aprire la portiera alla tua sinistra,
esulti nel constatare che non incontri resistenza. Adesso devi
spalancarla e saltare fuori. È rischioso, però è anche l'unica
cosa da fare. Non indugi a riflettere, spingi con una spallata e ti
butti di sotto.
L'impatto con il
terreno ti procura fitte acute in tutto il corpo, ma il sollievo è
più forte del dolore. Ti rialzi e realizzi di non esserti fatta
nulla, salvo qualche escoriazione alle braccia e alle ginocchia. È
andata perfino troppo bene, quasi non ci credi.
Pensi che dovresti
recuperare la borsa e la cartella dei documenti che hai appoggiato
come sempre sul sedile posteriore; una rapida occhiata alla macchina,
in equilibrio precario sullo strapiombo, ti fa desistere dal
proposito di avvicinarti. Non è il caso di sfidare la sorte una
seconda volta, anche se quelle carte sono importanti contratti che
devi perfezionare in giornata.
Se almeno potessi
avvertire in ufficio che hai avuto un incidente... Ma no, hai
lasciato il cellulare nella borsetta insieme ai soldi e agli effetti
personali. Di solito lo riponi nel cruscotto e lo colleghi al viva
voce, ma stamani eri in ritardo. Dannata fretta!
Non hai alternative:
devi incamminarti a piedi sperando d'incontrare qualcuno e, in caso
contrario, sciropparti la decina di chilometri che ancora mancano per
arrivare in paese. Ecco, adesso avresti bisogno di un'altra pillola,
ma naturalmente il flacone è rimasto in macchina. Non devi perdere
la calma. Sei appena scampata a un pericolo mortale, non puoi
infuriarti per un telefonino e una manciata di psicofarmaci.
Inspiri a fondo e
trattieni l'aria nei polmoni per qualche istante, poi la soffi fuori
con lentezza. Ripeti l'esercizio di respirazione, finché ti senti di
nuovo rilassata.
Ignori
gli abiti strappati e le calze rotte; riesci perfino a sorridere del
sangue che sta cominciando a rapprendersi sulle ginocchia, mischiato
alla polvere, e che non puoi tamponare perché non hai nemmeno un
fazzolettino. T'inquieti un po' quando ti accorgi di esserti spezzata
un tacco.
Tua
madre sostiene che non c'è disgrazia senza sciagura. Hai sempre
considerato demenziale quella frase, come la maggior parte delle
massime e degli aforismi che ti propina la genitrice, ma adesso
capisci che racchiude una profonda verità: nella disgrazia che ti è
capitata, avere anche un tacco rotto rappresenta una vera sciagura.
Il
pensiero di tua madre è una spina fastidiosa, e non capisci perché,
dannazione, doveva ficcarsi nella testa proprio in questo momento.
Non potevi tenerla a casa con te, dopo l'aggravarsi della malattia
degenerativa che l'ha ridotta alla stregua di un vegetale. Da quanto
tempo non vai a trovarla in clinica? Qualche mese, forse un anno...
non ricordi.
Lavori tutta la
settimana e nel week end hai il diritto di pensare a te stessa. Paghi
fior di quattrini per non farle mancare nulla; dedicarle anche il
poco tempo libero che ti rimane, sarebbe un sacrificio inutile e non
farebbe alcuna differenza: lei ormai non ti riconosce nemmeno.
Non
devi sentirti in colpa. Non vuoi sentirti in colpa. Non ti senti in
colpa. I
sensi di colpa sono una palude viscosa nella quale non ti sei mai
lasciata impantanare. Sono superflui e non appartengono alla tua
visione edonistica della vita.
È
così breve la vita, ed è insensato credere o anche solo sperare in
qualcosa che trascenda i limiti umani. Non siamo fatti della materia
dei sogni, ma di carne e sangue; i pensieri e le emozioni sono frutto
di connessioni neurologiche e secrezioni ghiandolari, non di una
sorta d'infusione divina.
Sei
al mondo per una mera causalità di geni e devi sfruttare ogni
istante cercando la tua soddisfazione personale, perché il mondo,
per te, finirà nell'attimo stesso in cui cesserai di respirare. Non
ci sarà un giorno del Giudizio, non c'è alcun premio o castigo.
L'inferno e il paradiso sono la vita stessa; dipende soltanto da te
rifuggire l'uno e guadagnarti l'altro.
Sei
così vicina a ottenere quello che desideri, per cui hai lavorato
tanto e hai rinunciato a molte cose... Devi solo arrivare in ufficio,
ristampare quei contratti e strappare la firma del cliente.
Te
lo sei lavorato bene il fesso, hai usato ogni mezzo a tua
disposizione, compreso il tuo corpo. È cotto a puntino, firmerebbe
anche la propria condanna a morte pur di strusciarti ancora le sue
viscide mani addosso. Quando si renderà conto di avere perso tutto
sarà troppo tardi, ma non potrà intentare alcuna azione legale:
quelle firme, apposte spontaneamente, lo inchioderanno alle sue
responsabilità.
Peggio per lui: nel
mondo dell'alta finanza non c'è posto per gli stupidi e nemmeno per
i rimorsi. Otterrai una ricca provvigione e la promozione che aspetti
da tempo; forse, addirittura, la direzione di una filiale importante.
Sarà la svolta decisiva, niente potrà più fermarti. Devi solo
raggiungere il paese prima che la banca chiuda o che quell'idiota si
faccia venire qualche dubbio.
Hai
già perso fin troppo tempo e non puoi permetterti di aspettare che
passi qualcuno. Sfili le scarpe ormai inservibili e muovi qualche
passo, stringendo i denti per il dolore alle articolazioni e il
fastidio che le asperità dello sterrato ti procurano alle piante dei
piedi. Non
devi pensarci, tra un paio di chilometri troverai la strada asfaltata
e le prime case del paese. Ricordi che c'è anche una locanda, poco
più a valle; ti daranno una mano, magari un passaggio. Non hai molti
amici, anzi, non ne hai nemmeno uno, ma la promessa di una lauta
ricompensa ottiene qualsiasi favore.
Procedi
spedita, rinfrancata dalla consapevolezza che l'increscioso
contrattempo non intralcerà i tuoi piani; mentre cammini, riepiloghi
mentalmente le mosse future. Otterrai le firme e sbatterai i
contratti sul muso del direttore; avrai la tua rivincita per tutte le
volte che quell’idiota ti ha messo i bastoni tra le ruote. Per
paura, lo sai bene, per timore che lo scalzassi. Chiedere la sua
testa sarà la prima cosa che farai; te la concederanno su un piatto
d'argento, ti concederanno qualsiasi cosa.
Soldi, prestigio,
potere... la felicità non è mai stata così vicina.
Dovresti
esultare, invece ti accorgi che stai tremando. Tremi di freddo. Si è
alzato un vento gelido e il cielo è gravato da nubi temporalesche;
la visibilità è ridotta al minimo: sembra quasi notte, una brumosa
e fredda notte invernale, rischiarata soltanto dai fulmini.
Com'è possibile? Un
attimo fa splendeva il sole. Stamani non hai fatto in tempo a
consultare le previsioni meteorologiche, ma è abbastanza strano un
cambiamento così repentino in questa stagione. Ci manca solo che
cominci a diluviare! Non riesci a vedere nulla, nemmeno dove metti i
piedi. Hai perso l'orientamento e da qualche parte c'è lo
strapiombo.
Calma,
devi restare calma. Ti fermi e aspetti; ascolti il brontolio dei
tuoni e il battito frenetico del tuo cuore. Un lampo accecante
illumina la sagoma quasi spettrale di un edificio a poche decine di
metri. La locanda, finalmente! Sapevi che non poteva essere lontana.
Corri
nel buio, vai quasi a sbattere contro un muro; tasti con le mani
finché incontri il legno del portone. Bussi con i pugni, chiami a
gran voce, urli. Nessuna risposta, nessuna luce che si accende. Non
c'è nessuno.
Non può esserci
nessuno, adesso ricordi: la locanda è chiusa. Chiusa per fallimento.
Ricordi anche la faccia congestionata del gestore, la sua voce
incrinata dal pianto quando gli hai negato il prestito che gli
avrebbe consentito di risollevarsi.
T'implorava, e tu
pensavi che fosse un individuo senza dignità. Non potevi dargli quei
soldi: la banca non è un ente benefico, negli affari non c'è posto
per la compassione.
Rivedi gli occhi
fiammeggianti di disprezzo, risenti la voce che ti maledice. In molti
ti hanno maledetto: tutti quelli che hai rovinato con i tuoi “no”
e quelli che hai ridotto sul lastrico, appioppandogli titoli e azioni
ad alto rischio.
Al
diavolo! Hai fatto solo gli interessi della banca, e naturalmente i
tuoi; non provi rimorso. È il tuo lavoro, lo svolgi meglio di
chiunque altro e presto otterrai i riconoscimenti che meriti.
I
temporali estivi hanno breve durata; devi aspettare che passi e
raggiungere il paese. Sei sfinita, muori dal freddo; ti accasci sullo
scalino, abbracci le gambe e posi la testa sulle ginocchia. Presto
sarà tutto finito, devi stare calma e recuperare le forze.
Un
soffio nel collo ti fa sussultare. Non è il vento, è come un
respiro, un leggero ansimare. C'è qualcuno accanto a te, forse un
animale...
Adesso tremi di
terrore, non hai il coraggio di aprire gli occhi, non osi quasi
respirare.
– Ciao, Anna...
Un'emozione
violenta ti fa balzare il cuore in gola; lo spavento ti paralizza.
Quella voce, la sua voce...
– Allora, sei
riuscita a trovare la felicità?
Marco! No, non è
possibile, non può essere Marco. Marco è...
– Tu sei morto... –
ansimi.
È
morto, lo sai, è morto tanti anni fa. Sfracellato proprio in fondo a
quel burrone. Un tragico incidente, anche se qualcuno ha cercato di
addossartene la colpa. Le malelingue del paese dicevano che si era
buttato per colpa tua, perché l'avevi lasciato dopo esserti liberata
del bambino che aspettavate.
Che
idiozia! Nessuno, sano di mente, si ucciderebbe per questo, e tu non
potevi rinunciare alla tua vita per uno stupido errore. Forse lo
amavi, forse stavi bene con lui, ma un figlio no, non lo volevi. Non
così presto, non prima di avere realizzato i tuoi progetti. Saresti
stata infelice per tutta la vita.
Hai fatto la scelta
giusta, come sempre. Nessuno può biasimarti.
– Sei morto... –
ripeti – vattene, lasciami in pace...
Una
risata lugubre fa da eco alle tue parole. È troppo, più di quanto
tu possa sopportare. Chiudi gli occhi e sprofondi nell'incoscienza...
La musica infernale ti
riscuote:
“Dies irae! Dies illa
solvet saeclum in favilla...”
Impieghi
qualche istante per renderti conto che sei ancora nell'abitacolo,
incastrata tra il sedile e l'airbag, imprigionata dalla cintura di
sicurezza. Forse hai avuto un incubo mentre eri svenuta, o forse è
vero che, quando si sta per morire, la vita intera ci passa davanti
agli occhi.
Provi a liberarti senza
riuscirci; il movimento incauto fa oscillare la vettura. Senti un
fragore di rami schiantati, la macchina si capovolge, stai
precipitando.
Adesso sai che oggi è
davvero il giorno dell'ira.
Non
provi nemmeno paura, non ne hai il tempo. Hai un solo rammarico: eri
a un passo dalla felicità e non sei riuscita ad afferrarla.