Giulia si fa coraggio e bussa alla porta.
– Avanti – la sollecita una voce maschile.
Respira per allentare l'ansia e abbassa la maniglia;
in mano stringe le cartelle con i disegni.
-
Ah, è lei, architetto... Entri pure. Ha terminato il lavoro che le ho
affidato?
-
Sì, dottore, - gli
porge una delle cartelle, -
eccolo.
L'uomo gliela sfila con delicatezza dalle
dita, la posa sul piano della scrivania e la apre. Scorre i disegni e li
osserva minuziosamente. Giulia trattiene il fiato finché lui solleva gli occhi.
-
Questi elaborati grafici sono perfetti: era proprio ciò che mi aspettavo
da lei. Brava!
Il sorriso seducente dell’architetto Landi
la fa arrossire; le succede fin dalla prima volta che l'ha incontrato. Titolare
dello studio più prestigioso della provincia, dove era quasi impossibile
perfino entrare come praticanti, l'aveva ricevuta senza appuntamento. Lei
poteva vantare una laurea conseguita con il massimo dei voti, un master in
architettura sostenibile e un esame di Stato superato brillantemente, ma
sembrava che nessuno avesse bisogno di una giovane donna architetto, con il
sogno di realizzare progetti grandiosi e nessuna esperienza.
-
In cosa posso esserle utile, signorina? - le aveva chiesto con modi gentili.
Bel tipo, sui quarant'anni, con profondi
occhi scuri che la studiavano. Il cuore aveva perso un paio di battiti, ma si
era ripresa subito; con la sfacciataggine dei timidi, aveva deciso di saltare
ogni preambolo.
-
Mi chiamo Giulia Mariani, ho ventisette anni, sono architetto
progettista, abilitata e iscritta all'albo. Mi piacerebbe lavorare nel suo
studio. Non come praticante perché non posso permettermelo: ho una bambina
piccola, la sto crescendo da sola e ho bisogno di un impiego retribuito.
Sul volto dell'uomo il sorriso aveva
ceduto il posto allo stupore: sicuramente l'avrebbe cacciata per la sua
impudenza. Non gli aveva lasciato il tempo di replicare: -Vorrei precisare che
non sono disoccupata. Lavoro in uno studio di grafica pubblicitaria, ma non è
questo il mio sogno, non è quello per cui ho studiato tanti anni...
-
E qual è il suo sogno?
- l'aveva interrotta con tono garbato.
Gli occhi di Giulia si erano illuminati e
lo sguardo era corso al tavolo da disegno che troneggiava in un angolo
dell'ufficio.
-
Vorrei progettare opere importanti: complessi residenziali, centri
commerciali, insediamenti a misura d'uomo ed eco sostenibili, dove la gente
potesse vivere e lavorare felice.
-
Beh, è il sogno di ogni architetto, ma converrà che non tutti possono
diventare dei Piano o dei Calatrava. Dunque, lei lavora nel settore della
grafica... sa usare il cad.?
-
Ovviamente, - aveva
risposto, senza smettere di fissarlo, -
ma sono esperta di calcolo strutturale e a casa ho un tavolo da
progettazione, anche se non professionale come il suo. Il computer è uno
strumento di lavoro indispensabile, ma le mie idee devo prima realizzarle a
matita. La mano che traduce in linee quella che è solo un'intuizione, e che
prende forma in uno schizzo, prima ancora di diventare un progetto.
-
Bene, architetto, -
per la prima volta l'aveva chiamata con il titolo accademico, - è assunta. Naturalmente
in prova e dopo che avrà regolato la posizione con il suo attuale datore di
lavoro. Però non si aspetti subito incarichi di progettazione: dovrà fare la gavetta
e per il momento sarà di supporto tecnico al mio staff.
Era rimasta a bocca aperta, incredula,
talmente certa di un rifiuto da sentirsi spiazzata.
-
Non vuole nemmeno guardare il mio curriculum? - aveva balbettato con un filo di voce.
-
Oh, non serve: sono sicuro che si sia laureata con il massimo dei voti.
Lei aveva annuito, un po' a disagio.
-
Ma non è per questo che ho deciso di assumerla: mi hanno colpito la sua
fermezza e l’entusiasmo con cui parla della professione. Bene, adesso devo
salutarla; per i dettagli si rivolga alla mia segretaria.
Si era congedata, troppo turbata perfino
per ringraziarlo; era già alla porta, quando l'uomo l'aveva richiamata:
-
Senta, architetto, quanto ha preso nell'esame di calcolo strutturale?
-
Il massimo della valutazione.
Era scoppiato a ridere: - Ci avrei scommesso!
A distanza di un anno, Giulia si sente di
nuovo tesa come quel giorno; stringe nella mano la seconda cartella, quella con
i suoi disegni, gli schizzi che le sono costati molte ore di lavoro, la sera a
casa, dopo aver fatto addormentare la bimba. Li sente come una parte di sé, un
frammento della sua anima. Ha lottato a lungo con se stessa, indecisa se
mostrarglieli o meno, ma a chi potrebbe proporli, se non a lui? Lui che, in
pochi mesi, si è conquistato un posto nel suo cuore senza nemmeno saperlo. Lui
che la tratta con cortesia, ma continua a chiamarla “architetto” e ad
assegnarle la parte tecnica dell'elaborazione di progetti che appartengono ad altri.
“Architetto, lei è una collaboratrice preziosa” è solito ripeterle, “ormai è
indispensabile, per questo studio”. Non oserebbe mai confessargli che preferirebbe
la chiamasse Giulia e le rivelasse che è indispensabile per lui. È solo un
sogno, come quello di vedersi affidare un progetto tutto suo.
Francesco Landi la osserva: sembra sulle spine
e stringe qualcosa tra le mani. Ottimo elemento, Giulia Mariani. Ha fatto bene
ad assumerla, sebbene non avesse alcuna esperienza e, a dire il vero, senza
nemmeno aver bisogno di un altro collaboratore. A volte conviene, assecondare
l'istinto. Si era accorto subito di quanto fosse carina nella sua eleganza
semplice e austera, ma adesso che la guarda meglio si rende conto che è davvero
bella, con quegli occhi blu che virano al viola e il portamento fiero. Sa che
ha una bimba piccola, ma dopo quell'unico accenno non gliene ha più parlato, né
la sua condizione di donna sola con una figlia ha mai interferito con l'ottimo
rendimento lavorativo.
-
Giulia, c'è qualcos'altro che vuole dirmi?
Lei
è sbiancata: per la prima volta l'ha chiamata per nome e la sta guardando come
se fosse una persona, e non un mobile dell'ufficio. Si fa coraggio:
-
Sì, dottore. Avrei dei disegni... roba mia. Riguardano il progetto per
l'appalto del nuovo centro commerciale. Non li ho elaborati durante l’orario di
lavoro - si affretta
a precisare, - ma la sera, a casa. Mi sentirei davvero onorata se volesse darci
un'occhiata per dirmi cosa ne pensa.
Adesso tace a occhi bassi, serrando la
cartella con entrambe le mani.
-
Il nuovo centro commerciale? Ma...
Rialza gli occhi e lo fissa risoluta: - Lo so, non mi ha
chiesto di occuparmene, ma avevo un'idea e ho voluto provare a darle corpo. Non
mi aspetto nulla, dottore, le chiedo solo di guardare i disegni. La prego, mi
conceda un'opportunità.
Francesco sorride indulgente: - Giulia, mi rendo conto
che finora l'ho sacrificata in mansioni che forse le stavano strette, ma creda,
l'ho fatto per il suo bene. L'esperienza è indispensabile per un architetto che
vuole arrivare a mettere la firma sui propri progetti. So quanto lei sia
ambiziosa e conosco il fuoco che la divora: anch'io ero così, alla sua età.
D'accordo, mi lasci i disegni: li studierò con attenzione.
Gli occhi della donna brillano di gioia.
Come ha fatto a frequentarla per mesi e non accorgersi di quanto sia
affascinante? Bella, volitiva, decisa. Chissà se la bambina le assomiglia...
-
Giulia, senta: cosa ne dice sua figlia di avere una mamma così tenace?
Dal
volto attraente scompare ogni traccia di sorriso: - Nulla, dottore... la mia bambina non parla ancora.
-
Dovrebbe avere quasi tre anni, se non ricordo male. Com'è possibile che
non parli? Non sarà... -
s’interrompe, imbarazzato.
-
No, non è sorda. Non ha anomalie fisiche né ritardi psichici. E' una
bambina normale, anzi, a detta degli specialisti ha un'intelligenza superiore
alla media. Però non vuol saperne di parlare. Mi tormenta il dubbio che la
colpa sia mia, per averla fatta crescere senza un padre. Mi chiedo se questo
possa averle causato qualche trauma. Non sembra una bambina sofferente: è serena,
affettuosa, piena di gioia di vivere. Trascorro con lei ogni istante del tempo
che non dedico al lavoro e cerco di farla sentire amata e desiderata. Ma non
serve a nulla: in due anni e mezzo non ha mai detto una sola parola.
Francesco è sconcertato: - Non sapevo, Giulia, non
potevo immaginare. Non me ne aveva mai parlato.
Lei si è ricomposta: - Non poteva saperlo, non
ne parlo mai con nessuno. Adesso dovrei andare: la baby sitter sta per
terminare il suo orario. Posso lasciare i disegni?
-
Certo... -
mormora, scosso. - Arrivederci,
cara. Dia un bacio da parte mia alla bambina.
-
Viola. Si chiama Viola. Buona serata, dottore, a domani. E grazie.
Giulia richiude la porta e vi si appoggia
contro, con le gambe che tremano per l'emozione e il respiro affannato. Ha
condiviso il suo segreto con quell'uomo dolce e gentile, e adesso le sembra di
essere leggera come una farfalla. Non importa se lui non saprà mai quanto lo
ama.
Mentre entra nel suo appartamento, sta
ancora fantasticando sullo sguardo di Francesco e sulla sua voce che sussurra:
“Giulia, cara... ”. Un fagottino biondo le vola tra le braccia; solleva la
bambina e la stringe forte. La piccola le cinge il collo con le braccia e le
stampa sonori baci sulle guance, con gridolini di gioia. Quel tenero cucciolo
dai boccoli biondi ramati e gli occhioni viola è tutta la sua vita. Il colore
dei capelli è l'unica cosa che ha preso dal padre, un simpatico giovanotto
conosciuto durante la vacanza in Irlanda che si era concessa come regalo di
laurea. Pochi giorni insieme, la follia di una notte, poi lui era sparito
lasciandole il dono di una vita che le cresceva dentro. Era stata immensamente
felice fin dal primo momento che aveva scoperto di essere incinta.
-
Che occhi stupendi!
- aveva esclamato l'infermiera della nursery quando gliel'aveva messa
tra le braccia. - Sembrano
quasi turchini. Peccato che probabilmente cambieranno, come succede spesso ai
neonati. - Poi
aveva guardato la puerpera: -
Gli stessi occhi della mamma, avete entrambe gli occhi viola!
E Viola era stato il nome che Giulia aveva
messo a sua figlia. Come un piccolo fiore profumato, Viola era una bambina
delicata e gentile, affettuosa e vivace. Però non parlava.
-
Non mi preoccuperei più di tanto,
- aveva minimizzato il logopedista, - la bambina non ha nulla di anormale. E' sveglia e
intelligente. Parlerà quando ne avrà voglia.
Giulia aveva fissato il medico come se
stesse dicendo un'eresia, strappandogli un sorriso.
-
Diamole ancora un po' di tempo, signora. Se fra un paio di mesi la
situazione non si sarà sbloccata, faremo degli accertamenti più approfonditi.
Nel frattempo, si goda la sua bella bambina e le faccia sentire tutto il suo
affetto.
Niente di più facile: come sarebbe stato
possibile non adorare il suo angioletto biondo?
-
Ehi, voi due, guardate che ci sono anch'io.
Giulia posa a terra la bimba e sorride a
Martina, la giovane baby sitter. E' figlia di una vicina, studentessa al quarto
anno di architettura, e le dà una mano in cambio di un compenso modesto e di un
ben più consistente aiuto con gli esami.
-
Scusa Martina, hai ragione, ma dopo il lavoro non vedo l'ora di
mangiarmi di baci la mia piccola. E' stata brava?
-
Certo, come sempre: è una bambina tranquilla e ubbidiente.
-
E... ?
Martina
scuote la testa, contrita: -
No, mi dispiace, ancora nulla…
- poi cambia discorso -
allora, com'è andata con l'architetto? Ha visto i disegni? Che ha detto?
Ti ha invitato a cena?
Scoppia a ridere: - Dai disegni all'invito a cena. Certo che ne hai, di
fantasia.
-
Uffa! Che ci sarebbe di strano?
- sbotta la ragazza. -
Lui è lo scapolo più affascinante della città e tu sei sexy come le
stelline che affollano le copertine delle riviste. Se sciogliessi quei superbi
capelli corvini e indossassi una gonna più corta di qualche centimetro, lo faresti
capitolare in tre secondi.
Giulia sorride, indulgente: - Vado in
ufficio per lavorare, non per sedurre il principale. I disegni comunque li ho
lasciati: ha detto che li guarderà. E' stato gentile, mi ha perfino chiamato
per nome, e non era mai successo.
-
E vai! -
esulta la giovane. - Lo
sapevo, alla fine doveva accorgersi di te.
Scuote la testa, rassegnata: - Su, adesso smettila di
farneticare e vattene. Non dovevi uscire con il tuo ragazzo, stasera?
-
Oddio, sì, ed è tardissimo! Ciao, ci vediamo domani. - si china a
baciare la bimba e scappa di corsa, precipitandosi giù per le scale.
Dormi, dormi, piccolina/’che la mamma
ti è vicina/ fai la nanna, bimba bella/ del mio cielo sei la stella.
Giulia ha un tuffo al cuore: la ninna
nanna che canta a sua figlia tutte le sere per farla addormentare. Si volta a
guardare Viola; la piccola è seduta sul tappeto e culla la sua bambola.
Dormi e sogna dolce amore/ fiorellino
del mio cuore.
Una
vocetta delicata, armoniosa, intonata.
Dormi, dormi, fai la nanna/ tra le
braccia della mamma.
Viola sta cantando tutta la filastrocca
senza sbagliare una sillaba. Lo shock è talmente violento che Giulia ha smesso di
respirare; guarda sua figlia pensando di essere preda di un'allucinazione. Teme
che, se farà un gesto o dirà una sola parola, quella magia svanirà.
-
Il telefono, il telefono!
- strilla la piccola che si è alzata di scatto ed è corsa a frugare
nella borsetta. Trotterella verso di lei con il cellulare in mano: - Tieni, rispondi.
Torna a sedersi sul tappeto e ricomincia da
capo la canzoncina. Giulia è talmente frastornata che fatica a riconoscere la
voce all'apparecchio.
-
Pronto, Giulia? Sono Francesco.
-
Ah, è lei, dottore...
-
Basta con questo “dottore”. Chiamami Francesco e dammi del tu. Ho visto
i disegni. Dire che mi hanno colpito sarebbe riduttivo. Li ho trovati... grandiosi,
ecco! Non saprei con quale altro aggettivo definirli. Senti, dobbiamo parlarne,
ma non vorrei aspettare fino a domani. Possiamo vederci subito?
Giulia fa uno sforzo per seguire quel
fiume di parole e, allo stesso tempo, prestare attenzione alla voce di Viola
che continua a cantare. Si sente confusa.
-
Adesso, dottore... cioè, Francesco? Ma non posso lasciare sola la
bambina…
-
Nessun problema, - la interrompe con entusiasmo, - vengo io da voi e
porto qualcosa per cena. Sai che esiste il take away? - ride, poi il tono si addolcisce. - Giulia, non prendermi
per pazzo, ma ho bisogno di parlarti, e non solo dei disegni. Ho capito di
avere molte cose da dirti e non vedo l'ora di conoscere Viola. Ti prego, posso venire?
-
D'accordo, Francesco, Viola ed io ti aspettiamo.
Chiude la chiamata e crolla sulla sedia,
esausta. Rimane ancora per qualche istante a inebriarsi della vocetta
infantile, poi la chiama: -
Viola, tesoro, vieni qua. Vieni dalla mamma.
La piccola posa la bambola, corre verso di
lei e si arrampica sulle sue ginocchia. Le scioglie il nodo che tiene raccolti
i capelli e affonda le manine nelle fluenti onde scure.
-
Come sei bella! Perché piangi? - Con le dita delicate cerca di asciugare
le lacrime che le rigano il volto.
Se la stringe forte al petto: - Perché sono felice,
amore mio... ti voglio bene, Viola.
La piccola ride di gioia: - Anch'io ti voglio tanto
bene, mammina.
Giulia piange, e ride, e la soffoca di
baci. Il successo professionale e l'attenzione dell'uomo che ama sono
importanti, ma è quella la conquista più straordinaria della sua vita. Tre
piccole sillabe che compongono la parola più dolce del mondo, la parola che sua
figlia ha finalmente pronunciato: mammina.