Sei,
le panchine della stazione.
Le hai contate
innumerevoli volte e studiate fin nei minimi particolari. Pensi che avrebbero bisogno
di una mano di vernice, e non solo; alcune sono così malridotte che solo il
vecchio Gualtiero, il barbone, si azzarda ad abbandonarci sopra il corpo macilento.
Tanto, per lui non fa differenza: una vale l’altra.
Conosci Gualtiero
praticamente da sempre, e ti sembra sempre uguale a se stesso, come se per lui
il tempo si fosse fermato a un’età indefinibile. Gualtiero è un senza tetto, senza
amici, senza nulla. Appena riesce a racimolare qualche centesimo se lo “scola” al
bar. Il vino è il suo migliore amico, l’unico che non gli neghi mai un po’ di
calore, nemmeno nelle giornate più rigide dell’inverno, come quella di oggi. Quando è abbastanza
ubriaco da non sentire i morsi del freddo e della fame, si sdraia sulla prima
panchina che trova e rimane lì per ore a occhi aperti, a contemplare le
metamorfosi del cielo. Parla con le nuvole, le interroga su dove le spinga il
vento, le implora a voce alta di portarlo con loro; talvolta intona nenie sconclusionate
per far eco allo stridio delle cornacchie o allo scrosciare della pioggia.
Anche se finora non
ti sei mai interessata a lui, stamani avresti voglia di rivolgergli la parola, chiedergli
qualcosa della sua vita, o magari fare soltanto quattro chiacchiere.
Così, tanto per ingannare quest’attesa che ti sta dilaniando.
Lo guardi, sei
tentata di chiamarlo ma desisti: sai che sarebbe inutile. Con gli esseri umani
non parla: a mala pena borbotta qualcosa che assomiglia a un grazie quando gli lasciano cadere una
moneta nella mano, e non solleva nemmeno gli occhi a guardarli. Non accetta
altro, solo qualche spicciolo per pagarsi un bicchiere di rosso, e col barista
non ha bisogno di sprecare parole: appoggia sul bancone le monetine contate scrupolosamente,
un centesimo alla volta, e aspetta a testa bassa che l’uomo gli versi da bere.
Cinque,
le fioriere sul primo binario.
Fanno parte del
pacchetto “migliorie e abbellimenti” dell’ultimo intervento di restyling della
stazione. Pochi soldi stanziati e tanta vanagloria, e il sindaco con tutta la
giunta in pompa magna il giorno dell’inaugurazione, insieme a quattro sconosciuti
funzionari delle Ferrovie che non vedevano l’ora di espletare quella fastidiosa
incombenza e tornarsene a scaldare le poltrone dei loro uffici lussuosi.
A distanza di pochi
mesi non è sopravvissuta nemmeno una piantina, e le fioriere si sono trasformate
in oscene pattumiere piene di cicche, cartacce e lattine vuote. In barba ai
cestini della raccolta differenziata disseminati ovunque e più inutili di… più
inutili di te. O quasi.
Non riesci, per
quanto ti sforzi, a trovare qualcosa che sia più inutile di te. Se ti prendessi
la briga d’impiegare, ogni giorno, cinque minuti del tuo tempo per annaffiare
quelle fioriere, forse faresti la cosa più significativa di tutta la tua vita.
Un fiore sbocciato per merito tuo potrebbe spruzzare di colore il grigio del
tuo inverno perenne. Probabilmente ti prenderebbero per matta, una povera
squilibrata che va ad annaffiare le piante secche della stazione. Ti
giudicherebbero perfino più strana di Gualtiero: lui si limita a parlarci con
le piante, e solo quando è troppo sbronzo. Come adesso che,
sdraiato sulla panchina accanto alla tua, cinguetta di rimando a un pettirosso
infreddolito che saltella tra i sassi della massicciata, in cerca di qualche insetto
sopravvissuto al gelo.
Avresti voglia di
cinguettare anche tu, ma non sai fischiare. Non hai mai posseduto nessuna particolare
abilità o attitudine, non hai mai, come si suol dire “combinato nulla di
buono”. Non hai un compagno, né figli, né amici. Avevi un gatto, e forse è
stata l’unica creatura al mondo per la quale fossi importante, che provasse per
te qualcosa di simile all’amore, anche soltanto perché lo nutrivi e lo tenevi
al caldo. È morto due anni fa poco prima di Natale e, anche se sai che tutto e
tutti alla fine muoiono, che nulla sopravvive, che non esiste un “oltre la
vita”, non hai più trascorso una notte senza sperare di sentire di nuovo il
ronfare delle sue fusa e il calore del suo pelo soffice a riscaldare il tuo
letto vuoto.
Quattro,
i pendolari infreddoliti che aspettano il treno.
Due sono uomini,
giovani; passeggiano nervosamente lungo la pensilina e sbuffano boccate di
vapore acqueo intriso di frustrazione all’annuncio dell’ennesimo ritardo. Ogni
tanto guardano l’orologio e imprecano. La terza, una ragazza,
sembra prenderla con filosofia: guadagna una panchina e calca un paio di
voluminose cuffie sopra il berretto di lana. In fondo, arrivare tardi a scuola
non è il peggiore dei mali, anzi… almeno a quell’età.
Fai uno sforzo per
tornare indietro con la memoria e ricordare com’eri da adolescente. Una brava ragazzina,
studiosa, giudiziosa… Che ne è stato dei progetti che facevi la sera prima di
addormentarti, dei sogni che coloravano le tue notti, dell’entusiasmo con il
quale ti svegliavi la mattina? Volevi essere diversa, non omologata, renderti
protagonista di grandi gesta. Non hai combinato nulla se non sovvertire tutti i
pronostici, deludere le aspettative insieme a coloro che hanno provato a volerti
bene. Non molti, a dire il vero, ma nemmeno tu hai fatto granché per farti amare.
Chi è incapace di dare amore, come lo sei tu, non può pretendere di riceverne,
e ti sei ben presto rassegnata a questa consapevolezza. Per molto tempo sei
bastata a te stessa, ma adesso sei stanca di tutto, spossata nel fisico e
nell’animo. Sopraffatta dalla noia che ti uccide piano piano, un giorno dopo
l’altro.
Guardi l’anziana
signora che si è seduta timidamente accanto alla ragazza, rivolgendole un
abbozzo di sorriso tra la ragnatela delle rughe e ricevendo, in cambio, un silenzio
indifferente e un’alzata di spalle. Vuoi fare quella
fine? Mendicare una parola gentile, un gesto, uno sguardo da chi, al contrario,
è quasi infastidito dalla tua presenza? Quella prospettiva ti fa rabbrividire
più del vento gelido di tramontana. No, grazie tante: hai pagato il biglietto,
ti sei guardata il film sbadigliando. Non ti è piaciuto… nessuno può costringerti
a rimanere seduta fino al The end.
Tre,
i minuti che mancano.
Guardi l’orologio
scoprendo il polso, e mille aghi di ghiaccio ti bucano la pelle.
Cristo, com’è freddo!
Ti viene in mente il verso di una canzone famosa: “dritto all’inferno avrei
preferito andarci d’inverno ”.
Sorridi. Chissà se la
conosce, Gualtiero, quella canzone. Avresti voglia di chiedergli di cantarla
per te con la sua voce impastata dall’alcool, ma lui non si è nemmeno accorto
della tua presenza. È assorto nel suo delirante dialogare col pettirosso che sembra
perfino rispondergli. Si è drizzato a sedere e il piccolo volatile gli zampetta
intorno, per nulla intimorito. Ah, il potere della fame!
Non puoi distrarti
con queste idiozie alla “San Francesco d’Assisi”, il treno sta per arrivare.
L’hanno già annunciato: il veloce Frecciarossa che passa a centoventi chilometri l’ora.
Allontanarsi
dalla linea gialla, treno in transito, gracchia l’altoparlante.
Sospiri di sollievo:
non sei mai riuscita a prendere i treni importanti della vita, alla vita porrai
fine sotto le ruote di un treno. Non uno qualsiasi, ma il più moderno e veloce,
quello con il biglietto più costoso.
Non hai paura, non te
ne accorgerai nemmeno, nessuno piangerà per te. Domani, i pendolari intirizziti
leggeranno un articoletto nella cronaca locale, e ne parleranno un po’ al bar
sorseggiando il primo caffè di una giornata uguale a tante altre. Sul giornale,
forse, metteranno la tua foto, speri una non troppo recente e non troppo mal riuscita.
Ti sia concesso un ultimo sprazzo di vanità. Poi basta: il mondo si dimenticherà
di te e tu non sarai mai esistita.
Ti alzi lentamente
dalla panchina.
Due,
i passi.
Lo vedi. Il muso
rosso e affusolato spunta dalla curva sotto il cavalca ferrovia. Il macchinista
attiva il segnale acustico d’avvertimento. Pochi istanti e ti offrirai
all’abbraccio d’acciaio dell’unico amante che non ti tradirà, e che tu non
tradirai. Due passi ti separano
dalla linea gialla che determina il limite di sicurezza del marciapiede.
Attraversare quella linea è vietato, ma tu te ne freghi dei divieti, come te ne
sei fregata sempre. Due passi e supererai tutti i limiti, quelli che ti sono
stati imposti e quelli che, tu stessa, ti sei imposta per troppo tempo.
Destro-sinistro o
sinistro-destro? Devi solo stabilire la sequenza, e questa sarà l’ultima scelta
che dovrai fare. Sembra una sciocchezza, ma in realtà è importante, un po’ come
decidere con quale piede scendere dal letto la mattina, e se disgraziatamente è
quello sbagliato, tutta la giornata va per traverso. A te è andato sempre tutto
di traverso, questa è l’unica occasione che ti rimane per raddrizzare le cose.
Non puoi fallire anche stavolta. Quindi: destro-sinistro o sinistro-destro?
Si dice che, negli
ultimi istanti, tutta la vita scorra davanti agli occhi in un attimo. È mai possibile
che tu, invece, li trascorra a dibatterti nel dilemma di quale piede muovere
per primo? Ora basta! Ti senti ridicola, anzi, peggio: sei grottesca. Lo sei sempre
stata, ridicola e grottesca, ma adesso basta davvero. Ecco il treno, devi fare
solo questi due stramaledetti passi che separano la panchina dalla linea
gialla, poi…
Uno,
il salto…
«Ehi, signora!»
Ti volti di scatto.
Il treno sfreccia veloce alle tue spalle, fischiando. Senti il vento dello
spostamento d’aria che ti scompiglia i capelli. È già passato oltre. Gualtiero
ti guarda, parla proprio con te:
«Signora, avrebbe
qualcosa da mangiare? Un pezzetto di pane, un biscotto… oh, non per me. Questo
povero uccellino sta morendo di fame.»
Lo fissi inebetita,
poi scoppi a ridere. Non sei riuscita a fare nemmeno due miserabili passi, ma
forse… forse è così che doveva andare. Non riesci a smettere di ridere.
Gualtiero ti scruta perplesso, poi allarga la bocca sdentata in una smorfia che
assomiglia a un sorriso. Non sai perché, ma quel sorriso, il primo che qualcuno
ti rivolge da secoli, t’infonde un senso di calore.
«Mi dispiace, non ho
nulla con me…» rispondi pensando che, certo, non saresti potuta uscire da casa
per andare a suicidarti e portarti dietro la merenda.
Trattieni a stento un
altro scoppio d’ilarità.
«Però possiamo andare
al bar e comprare qualcosa per questa bestiola» aggiungi, sforzandoti di
rimanere seria. «E magari anche per noi due: all’improvviso mi è venuta una
gran fame» concludi.
Hai fame davvero, e
non ti capitava da anni.
«Oh, non vorrei darle
troppo disturbo,» si schermisce l’uomo, «se lei fosse così gentile… a me
basterebbe un bicchiere di vino rosso.»
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