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venerdì 13 marzo 2015

Ritratto di bambina con palla





   Fra i nembi minacciosi, ammicca una turpe luna piena. Rossa, quasi volesse piangere lacrime di sangue sulla Terra. Notte di bufera, notte dinfausti presagi, notte che funesterà dincubi il sonno dei viventi e disperderà nel vento le preci dei morti.
Mi chiamano, supplicano dessere ascoltati, consolati, perfino vendicati. Soltanto io posso udirne le voci confuse nel cupo brontolio dei tuoni. Io, una miserabile vecchia dimenticata dal mondo, possiedo la facoltà di parlare con le anime dei trapassati.
Non so se sia un dono o se rappresenti il mio purgatorio, lunica possibilità di espiare i peccati commessi, ma non posso sottrarmi e nemmeno lo vorrei. In una notte che anche il più ubriaco dei clochard cercherebbe riparo in qualche anfratto, sollevo le membra dal giaciglio, mintabarro nel mantello color tenebra ed esco. Non devo fare molta strada, dalla casupola assegnatami come guardiana del cimitero al padiglione dov’è situata la tomba fresca dinumazione, ma le violente raffiche di vento ostacolano il mio incedere e la pioggia gelida penetra fin dentro le ossa.
Loro sono intorno a me; le grida disperate mi turbinano in testa come insetti impazziti rinchiusi in una bottiglia: una ridda di pianti, invocazioni, preghiere, in lingue che dovrebbero essermi sconosciute e che invece comprendo senza difficoltà. Non ho paura: sono i vivi a spaventarmi, non queste povere anime che anelano la pace. Alcuni provano a trattenermi, a ghermire le vesti e i capelli, e sfogano la frustrazione con lugubri lamenti che mimpietosiscono fino alle lacrime. Tremo e sgrano tra le dita rattrappite le sfere del rosario consunto; prego per loro, non posso fare altro, stanotte, non posso fermarmi né indugiare. Lei ha bisogno di me. È piccola, è sola, è terrorizzata. Sento i singhiozzi convulsi, il suo invocare la mamma, e il mio cuore sembra spezzarsi dalla pena. La stessa pena che mi ha straziato durante il funerale nellassistere al dolore di una donna privata dellaffetto più caro, il frutto delle sue viscere. Hanno dovuto strapparla dalla bara e portarla via di peso, mentre si dimenava e scalciava come una furia, gridando fino a perdere il fiato.
Sono arrivata, vedo la piccola sepoltura sommersa di fiori strapazzati dal vento, la croce di marmo, langelo del dolore illuminato dai bagliori rossastri della luna. Lei non c’è ma so che non è lontana: la sento, sento che ha freddo e paura. Mi avvicino alla tomba per distinguere la fisionomia nellimmagine funeraria, per leggere il nome e letà. È più piccola di quanto credessi: appena cinque anni. Unaureola di ricci castani incornicia il visetto paffuto dagli occhi scuri e sorridenti. "Dormi in pace cullata dagli angeli", recita lepitaffio. Ricordo i discorsi sussurrati dagli amici e parenti presenti al funerale, che ho carpito mentre rassettavo i vialetti del cimitero:
- Povera creatura un fiore ancora in boccio strappato alla vita. Investita da unauto proprio davanti alla sua casa, sotto gli occhi della madre. Era scesa dal marciapiede per inseguire la palla sfuggitale di mano ed è stata travolta. È morta sul colpo, non se n’è nemmeno resa conto, per fortuna
Per loro era una consolazione che la piccola non avesse sofferto, ma io sono rabbrividita, nelludire quelle parole. La bambina non si è accorta di nulla, non ha capito che cosa le stesse accadendo, non sa di essere morta. Per questo è ancora qui, attaccata alla vita, a invocare la mamma e cercare la sua palla. Potrebbe rimanere per sempre prigioniera tra le lapidi di questo cimitero, come tutte le anime sciagurate che non riescono a staccarsi dai ricordi terreni, dai sentimenti che hanno provato in vita, le persone e le cose che hanno lasciato. Lei, però, è così piccola e innocente devo fare qualcosa per aiutarla, non posso tollerare di sentire il suo pianto notte dopo notte per il tempo che mi rimarrà da vivere.
Mi siedo sulla lapide fra le corone disfatte e aspetto, incurante del vento e della pioggia. Le nubi si sono addensate in cumuli scuri che nascondono la luna; il buio è squarciato soltanto dal balenio delle folgori. Provo a chiamare la bambina per nome, piano, scandendo le sillabe; al terzo tentativo, mi risponde un singhiozzo sommesso. Guardo nella direzione dalla quale mi sembra provenga e intravedo unombra opalescente, semi nascosta da una scultura marmorea. La chiamo ancora, le dico che va tutto bene, non deve avere paura, sono unamica della sua mamma e ho portato una cosa per lei. Mentre le parlo, tiro fuori da sotto il mantello una palla colorata e la faccio rotolare sul vialetto. La bambina emette un grido di gioia e corre incontro alla palla, leggera come una farfalla nel suo abitino candido; poi si china e allunga le braccia per prenderla, ma le piccole mani aperte stringono soltanto laria. Solleva gli occhi smarriti a fissare il punto dal quale le arriva la mia voce; non sono sicura che mi veda, ma riesce a sentirmi.
Adesso devi ricordare mormoro, suadente. La mamma che grida di fermarti e la macchina che ti arriva addosso
È crudele quello che sto facendo, preferirei morire piuttosto, ma è lunica maniera che ho per aiutarla. Lei rimane immobile per qualche istante con gli occhi sbarrati, poi caccia un urlo e scoppia in un pianto disperato, accasciandosi a terra. Lascio che si sfoghi, la blandisco con frasi rassicuranti finché i singhiozzi sfumano in un ansimare sommesso.
- Va tutto bene, tesoro, tra poco sarà tutto finito sussurro. Adesso smetti di piangere, alzati e guardati intorno. Dovresti vedere una luce
La piccola ubbidisce, si tira su e strofina le palpebre con gli indici delle manine strette a pugno, poi spalanca gli occhi e fissa un punto lontano, in mezzo ai cipressi. La bocca si allarga in un sorriso estasiato.
- Nonnina! esclama, felice.
- Vai, piccola, corri dalla tua nonna - la incito.
Prima di scomparire nella luce, si volta un attimo a guardarmi, e sono sicura che mi veda, perché posa un bacio sulle dita e lo soffia verso di me.


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