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mercoledì 27 marzo 2013

EdelWeiss

(romanzo-frammenti)


        “Caro Fabio, 
anche se non ho nulla da lasciare dietro di me, non  posso andarmene senza un commiato alla persona con la quale, nel bene e nel male, ho condiviso gli ultimi dieci anni della mia vita. Non è mia intenzione spiegare, scusarmi, accusare o perdonare. Non pretendo che tu comprenda, né che mi assolva. Il mio tempo si è esaurito, mi resta solo una cosa, da fare. Una cosa che avrei dovuto fare molto tempo fa: andare con lui. Lui mi aspetta. Non so dove sia, né dove mi porterà, ma non se ne andrà, senza di me. 
Ha promesso, ho promesso! Così deve essere e così sarà. Io e lui siamo stati una cosa sola, fin dal primo istante in cui ci siamo guardati negli occhi. Prima era il nulla e nulla ci sarà dopo. Solo un attimo d’eternità. Un istante che sublima una vita altrimenti vana. 
Non piangere, non piangete per me. Credo che nessuno, su questa terra, sia stato né potrà mai essere più felice di quanto sono stata io. Ho assaporato il paradiso, e sapevo che non sarebbe stato possibile tornare indietro. Né lo vorrei. 
Tra poco sarà tutto compiuto, non ci saranno altri ostacoli, a frapporsi fra me e lui. Saremo liberi, finalmente. Liberi dalle convenzioni, dalle ipocrisie, al di fuori del tempo e dello spazio che ci separano. 
Non rammaricarti per me, Fabio: io tra poco correrò nel sole…”
                                                                             ...


Ivan è rimasto immobile: non riesce quasi a respirare. Pochi passi lo separano da lei, può sentirne il profumo: una fragranza sottilmente avvincente, che lo stordisce. Dolce e delicata, ma penetrante. E’ bionda, con i capelli lunghi e ondulati, sciolti sulle spalle. Slanciata, di altezza media, esile e flessuosa, con delle morbide curve. Indossa un abito nero a piccoli fiori rosa, stile provenzale, lungo fino al ginocchio, aderente al busto tornito e alla vita sottile e leggermente svasato al di sotto dei fianchi. La visione di quel corpo lo turba: ciò che intuisce, più che vedere, gli  sembra di rara perfezione. Alla donna cade un libro e si china a raccoglierlo, piegandosi sulle ginocchia; il vestito sale a scoprirle le gambe, incredibilmente seducenti. Ivan deve appoggiarsi allo scaffale, per non cadere: l’emozione gli ha addirittura fatto perdere l’equilibrio. A fatica distoglie lo sguardo dalle splendide cosce e guarda più su. L’abito è piuttosto scollato, sorretto da due spallini sottili. Sotto la stoffa fiorita, prorompente, preme un seno da far invidia a una dea. Lo spettacolo inaspettato è  sconvolgente, tanto che il ragazzo non è in grado di tollerarlo. Si volta di scatto, dandole le spalle; respira profondamente, a occhi chiusi, con le tempie che gli martellano. Sente una dolorosa pulsione all’inguine: mein Got! E’ eccitato sessualmente! Non è riuscito a vedere il volto della donna, ma l’ha riconosciuta. L’ha riconosciuta subito, appena ha sentito la voce. E’ lei: è Angela! Solo che…no, non se n’era accorto, la prima volta! Era rimasto folgorato dal suo volto e non aveva neppure “visto” il resto. E’ bellissima! Straordinariamente bella…bella da far star male, bella da impazzire. Molto più bella della più bella delle divinità. Come può soltanto pensare che s’interessi a lui? Ivan vorrebbe lasciarsi scivolare sul pavimento e piangere, fino a perdere le forze…fino a morire.
                                                                           ...


Mentre scendeva le scale, era stata sorpresa dalla prima fitta, leggera, al ventre. S’era fermata, incerta, quasi incredula, aggrappandosi al corrimano. Fabio, ai piedi della scalinata di marmo, le stava sorridendo con ammirazione: <<Tesoro, sei sempre bellissima! Le farai scomparire tutte, quelle oche... moriranno d’invidia.>> L’istintivo sorriso che gli aveva rivolto s’era immediatamente trasformato in una smorfia di dolore, alla seconda fitta, stavolta lancinante, che l’aveva trapassata, bloccandole il respiro. Annientata dal dolore e dalla paura, Angela s’era lasciata lentamente scivolare a sedere sullo scalino, incapace d'emettere anche un solo lamento, nonostante gli spasmi fossero sempre più atroci. “Il bambino”, pensava, “il mio bambino...no, mio Dio...no!” Nel vederla accasciarsi in quel modo, senza un gemito, Fabio s’era spaventato ed era accorso da lei; l’aveva presa per le  spalle, cercando di scuoterla, terrorizzato dal pallore del suo volto. <<Angela, amore, che hai? Che ti succede?>> Lei gli aveva sollevato in faccia due occhi pieni di disperazione; con uno sforzo notevole, s’era fatta uscire un filo di voce, poco più d'un sussurro, che pure le costava una tremenda sofferenza: <<Il bambino, Fabio...sta succedendo qualcosa al bambino...>> Poi aveva letto l’angoscia nello sguardo di lui, che s’era spostato dal suo volto al grembo. Aveva abbassato gli occhi, a guardare lì dove sentiva uno strano, umido calore. L’abito bianco era intriso di sangue: il suo sangue. Angela aveva piegato la testa all’indietro ed era svenuta, tra le braccia del marito. Quando s’era risvegliata nel letto della clinica, prima ancora che il medico entrasse a parlarle, sapeva già che il bambino non c’era più.                                                       
                                                                             ...

 Ivan la posa delicatamente a sedere sul letto, la fa distendere e s’inginocchia tra le sue gambe aperte. Non gli sembra vero, quasi non ci crede: lei è lì, nuda, tra quelle lenzuola dove per tante, interminabili notti s’è torturato da solo a pensarla, a sognarla, a desiderarla...senza riuscire a prendere sonno. Adesso la sua bellissima dea, la sua dolce, piccola Edelweiss è tutta sua, sta tremando d’amore e di passione. Sbatte le palpebre, per essere sicuro che non si tratti di un sogno a occhi aperti. No, non sta sognando: Angela è proprio lì, nel suo letto, trepidante e smaniosa di fare l’amore con lui. Le accarezza i capelli, il volto; passa il palmo della mano sulle sue labbra dischiuse. Lei lo lambisce con la lingua, sospirando. Pazzo di desiderio, si china sulla bocca, vi affonda con la sua, assapora avidamente la lingua morbida, le labbra brucianti; scende a suggere il collo, i seni frementi, il ventre, l’interno delle splendide cosce. Lei geme sommessamente; solleva le ginocchia e gli appoggia entrambe le mani sulla testa, passandogli le dita tra i capelli e spingendolo con delicatezza verso il basso. 

                                                                                             ...


Torna a riprendere il coltello che aveva appoggiato sulla scrivania, si reca in bagno e accende i faretti che illuminano il grande specchio. Con la mano libera si ravvia i folti capelli biondi che le incorniciano il perfetto ovale del volto, scendendo in morbide onde fino alle spalle eleganti. Osserva la propria immagine riflessa: è pallida, con profonde occhiaie scavate dal pianto e le labbra esangui. Ma nel pallore eburneo gli occhi verde smeraldo risaltano, se possibile, ancora di più, e sembra perfino più bella. Il collo sottile, i seni turgidi sotto la seta leggera, la vita stretta e i fianchi ben modellati. Una bellezza senza tempo. Una creatura senza età che rasenta la perfezione di un angelo. Angela sorride all’immagine di se stessa che le rimanda lo specchio. Sì, è bellissima, e lo sarà per sempre per il suo Ivan. La bellezza, che è stata la condanna della sua vita, alla fine ha rappresentato la sua rivincita. Angela ha sfidato gli Dei e gli Dei si sono vendicati. Ma nessun Dio, ormai, potrà più separarla da Ivan. Alla fine ha vinto lei…hanno vinto loro due…ha vinto il loro amore. Accarezza il ciondolo con la stella alpina che tiene allacciato al collo. Sorride al suo io speculare, solleva il braccio sinistro all’altezza del volto e serra la mano chiusa a pugno, fin quasi a conficcarsi le unghie nel palmo, facendo guizzare i tendini dell’avambraccio. Nella mano destra regge saldamente il coltello. Un colpo secco, dall’alto verso il basso, di traverso lungo il polso. La lama penetra nella carne come fosse burro.

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